lunedì 18 maggio 2009

ritorno



ci siediamo sulla lunga panca di legno che costeggia la rete con i cespugli. conosco quell'atmosfera, l'ho vissuta decine di volte, ha fatto parte di un lungo periodo della mia vita. è un'atmosfera onirica che si perde nei fumi dell'alcool e dell'alterazione, in cui ti immergi come una placida biglia che rotolando può rimbalzare qua e là contro altre palline nottambule, in uno strano gioco di contatti. è notte tarda , dietro di noi il Po' scorre tranquillo. questo genere di serate erano l'abitudine, ora sono sempre più rade, ma ogni tanto riemergono in quelle notti in cui proprio non si ha voglia di tornare a casa. da qualche settimana, da quando è finita con L. sono riemerse un po' più spesso. periodi della vita.

ci siediamo, F. ed io. F. non ce la fa più, barcolla, sfarfuglia qualcosa ogni tanto: tira fuori frasi taglienti in cui si schernisce del mondo e di se stesso.

Ci siediamo a fianco a Matteo, anche lui lì con un amico.
Matteo ha 31 anni, progetta e vende molle. e ama dostoevskij e i romanzi psicologici. Matteo si gira la sua canna. io passo, sono più attratto dalla nostra conversazione. è una conversazione che ha senso solo lì, solo a quell'ora, solo fra di noi. si parla della vita, delle aspettative, ci si comprende senza neanche esplicare tutto. probabilmente ci fossimo incontrati da un'altra parte, in un altro momento non ci saremmo neanche rivolti la parola. parliamo come se fossimo amici di vecchia data, parliamo di come ci si sente nel mondo. e siamo buttati lì, in riva al fiume, attorniati da sfattoni, cani sciolti, studentesse e liberi professionisti che si mescolano come in una sorta di rifugio, lontani dalla routine quotidiana, in una parentesi in cui quasi ogni distanza viene azzerata, ognuno lì a non fare niente, risucchiato forse da ore in quel mondo strano, di chi si sente un po' fuori posto ovunque ma che sempre si adatta alla vita. ma è una realtà a sè, in cui devi aver voglia di abbandonarti, in cui devi abbandonarti o altrimenti la magia scomparirà, è un posto che lascia spazio ai voli più alti ma in cui si perde contatto con il suolo. non ho più tutta questa fiducia nella vita ad alta quota, soprattutto quando l'accelerazione verticale è violenta, preferisco partire dalla solida terra, gettare delle fondamenta per poi salire con calma. ma un giro lassù ogni tanto può valere davvero la pena, pur sapendo che il mattino dopo lo schianto al suolo è assicurato. ma vale la pena per quelli come Matteo, per quelle converasioni fugaci, forse inutili, ma che hanno un qualcosa di estatico, e poco imorta se al mattino si dissolveranno.

si fa chiaro, è ora di tornare a casa. ci si saluta. la parentesi è finita, riporto a casa F., da solo non ce la fa di sicuro.

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