lunedì 18 maggio 2009

dentro




fuori
è una bella giornata.
dalla finestra osservo le persone camminare. camminano in tondo, seguendo larghi percorsi circolari, costeggiando i lati del cortile. più e più volte, ritornando sempre da dove erano partiti. così in tutti i cortili.
le sbarre di metallo dalle strutture geometriche che attraversano le finestre spezzano la luce del sole. mi volto e proseguo per il lungo corridoio, salgo di nuovo le scale. sembra un ospedale in fondo, ma un ospedale sventrato, scarnificato, spoglio di tutte le rifiniture. tutto qua è ferita viva: gli spigoli, gli scalini, le porte, i neon. non esistono piastrelle, niente rivestimenti, niente pavimenti.

l'atmosfera è dura, pacata, lenta. è come quando si assiste ad un avvenimento violento: si vive quell'attimo in modo rallentato, come se stesse accadendo tutto naturalmente, veloce ma al rallentatore, con i suoni crudi che rompono il silenzio innaturale. ecco, quella sensazione qua è protratta, si è insinuata lentamente nei muri, nelle persone, nella luce opaca, fa parte del luogo stesso.

trovo F., mi fermo a parlare con lui. porta i segni di una vita di conflitti. ha l'aria giovanile benchè ogni centimetro della sua pelle sembri aver vissuto 2 vite. è alto e massiccio, capelli rasati, spalle larghe. ci sediamo nella sala da pranzo della sezione. porta il caffè e qualche pezzo di torta di mele fatta a mano. "ho dimenticato le tue poesie". lui sorride e mi fa cenno che non ha importanza, gliele porterò la prossima volta. dopo qualche frase di circostanza gli chiedo se ha mai amato davvero. con gli occhi azzurri sognanti e malinconici mi risponde: "una volta, la prima ragazza che ho avuto". aveva 14 anni e si era innamorato di una fanciulla del paese. ricorda tutti i dettagli, gli usi del tempo in una cittadina della puglia - sono passati 34 anni - rituali che oggi fanno tenerezza: gli appuntamenti, i genitori di lei, l'amore fugace...

3 anni dopo lui la lasciò, vedeva l'ombra del matrimonio, della stabilità, delle catene. la voglia di libertà, probabilmente la stessa voglia che lo ha portato qui oggi davanti a me, ebbe la meglio. si rividero anni dopo, tutti e due dispersi per le strade della vita. uscirono ancora un po' insieme, come vecchi amici, poi non si videro mai più, ognuno dietro alle proprie peripezie per la sopravvivenza.

gli mostro un libro di Castaneda che è lì nella libreria, è il primo: gli insegnamenti di Don Juan. "aspetta lì", mi fa. torna con il secondo volume, lo teneva in camera. "lì ho letti tutti, anche se non me li ricordo più bene".

F. mi va a genio. è un po' sconclusionato, non riesce a controllare i tumulti dei pensieri, come credo non abbia controllato i tumulti delle sue azioni, vola di qua e poi di là. ma che trasporto quando parla. è vivo. forse è così vivo perchè si sente morto. parla di cristo, del vangelo, della sua vita in giro per l'europa, dei suoi amori. e scherza. scherza sempre, forse perchè ogni volta che diventa serio pensa ai suoi demoni, sempre implicitamente lì con lui, nascosti dietro la sua ombra. li porta sempre appresso, attento a non mostrarli, ma si intuisce che ogni sera risalgono nei suoi pensieri più intimi.

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