giovedì 23 dicembre 2010

ec


il palazzo era noto a tutti nel borgo. si trovava in centro fra le vecchie mura e i paesani, quando vi passavano davanti, vi ci buttavano almeno un'occhiata fugace. no, non era certamente lo stile imperiale del palazzo dell'amministrazione, era pure lontano dal barocco ricco e civettuolo della dimora della famiglia più potente del paese e non era neanche il gotico slanciato e austero della chiesa. era semplicemente bello, di una semplicitàa forse rinascimentale, lineare, leggera, ma con un qualcosa di indefinibile che lo rendeva inevitabile, nel senso che non lo si poteva ignorare in nessun modo: nella percezione della piazza assumeva un certa evidenza, anche se inspiegabile a parole.

alte colonne squadrate in rilievo delineavano le geometrie della facciata slanciata e asciutta, con gli spigoli vivi delle rientranze in risalto, duri e compassionevoli contemporaneamente, con piccole nicchie ornamentali ricche di decori indecifrabili e vezzosi, forse di origine orientale, che regalavano armonia all'insieme. a osservare l'edificio ci si imbatteva in una ambigua attrazione, con le pietre intagliate che lo costituivano che sembravano giungere direttamente dalla profondità del tempo e che pur mute rivelavano un senso profondo dell'esistenza.

molti poi, nel corso degli anni, vi erano entrati. avevano percorso i lunghi e sensuali corridoi illuminati dalle alte finestre, erano entrati nelle stanze girovagando in un intricato sistema di spazi e porte, con vani ora pieni di luce ora avvolti dalla penombra. nessuno però riusciva bene a capire se effettivamente avesse visitato tutte le stanze, si aveva sempre l'impressione che ci fosse qualche altra porta da aprire, rimasta segreta nella precedente esplorazione. questo sprigionava nel visitatore una sensazione un po' snervante, a tratti irriverente, nonostante le atmosfere del palazzo rimanessero immerse in un equilibrio delicato e piacevole. si alternavano così stati di empatia a momenti di disagio, in un continuo gioco di specchi in cui sembrava che l'edificio stesso si nascondesse per celare agli occhi del visitatore di turno la sua reale essenza.

in fondo nessuno ne conosceva bene la storia. molti congetturavano un passato folle con proprietari lussuriosi, avidi di feste e vizi. altri si ricordavano invece di signori discreti e misericordiosi, che vivevano in armonia nella ricerca di Dio. era forse stato il rifugio di un ricco don giovanni dedito alla vita amorosa o forse era stata la casa di un solitario mercante che vi veniva a rilassarsi. in realtà non lo si sapeva con certezza. nulla trapelava da quelle stanze, dai saloni o dal giardino sul retro. la vita di chi vi aveva un tempo abitato era irrintracciabile. certo c'era una ricca biblioteca, un'ottima collezione di opere d'arte e una curata sala della musica. sicuramente chi l'aveva costruito e arredato aveva avuto molto buon gusto, una sensibilità fuori dalla norma e un alto livello culturale. ma chi era?
tutto lasciava trapelare non la comune decadenza di un passato ormai abbandonato ma un senso continuo di attesa, come se presto la vita sarebbe lì ricominciata da dove era stata interrotta per motivi ignoti. tutto appariva in sospensione come accade per le dimore di villeggiatura dove le stanze vengono chiuse in attesa della futura stagione di vacanza. qualcosa doveva essere successo, forse neanche irrimediabile, e sembrava si attendesse un nuovo evento a riportare la vita nell'edificio.

molti vi entravano di nascosto con l'intenzione di svelarne i segreti , molti immaginavano intimamente di farne la loro casa, ma in realtà nessuno poteva considerarlo neanche appena familiare. il palazzo, sornione, continuava indecifrabile ad ammaliare i viandanti con il suo fascino.

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