mercoledì 31 marzo 2010

bufala


ancora salerno.
dopo 10 mesi, prima di festeggiare a rapallo l'arrivo dell'anno del pachiderma danzante con il Capodanno Pazienza, completo di cenone e botti (mi spiace, ma se non appartenete agli eletti non ci avrete capito un cazzo, ma che ci posso fare?), sono tornato a salerno. beh, nel tragitto ho effettuato un breve tour per roma con tappa nella BELLISSIMA frosinone, poi finalmente ho raggiunto la costiera e ho rivisto JF(K?). ho fatto in tutto 2000 km con la punto della mamma e un unico cd decente che ho ascoltato in loop: una compilation di de andrè, vinicio, vasco e de gregori...

a sto giro mi sono fermato a salerno 5 giorni e devo dire che mi piace sempre di più. lì mi sento sereno, tranquillo. mi sono seduto sul lungomare a leggere, ho mangiato ininterrottamente mozzarella di bufala e altre brelibatezze, ho aiutato JF(K?) & C. a traslocare (cazzo, quest'anno i traslochi mi perseguitano), ho visitato la certosa vicino a battipaglia e rivisto la costiera immersa nei limoni. per dirla alla JF(K?): siamo andati a vedere dei fatti e abbiamo pinzato delle storie, tutto apuust.

JF(K): quando sono partito e ti sei girato un attimo a guardarmi mi sono commosso. lo so cosa stavi guardando: un pezzo di vita. ora ne hai costruita un'altra, con delle persone speciali direi. che mi hanno fatto sentire a casa. dopo che sono partito ho lasciato la musica spenta e sono rimasto placido ad ascoltare il silenzio per ore

un abbraccio

AL.


si trovava in una posizione leggermente in disparte rispetto al villaggio, come se ne fosse un'intima appendice. non si poteva certo dire fosse ben visibile, così incastonato sotto la riva della collina, eppure la sua presenza non era discreta. poteva sembrarlo, ad una prima occhiata, ma si percepiva letteralmente un fascino afrodisiaco che catalizzava irrimediabilmente l'attenzione verso esso.

era quasi privo di ornamenti e di decori, non era particolarmente alto, praticamente sgombro di torri, se non fatta eccezione per quei 2 piccoli pennacchi ai lati dell'ingresso che sembrava ti guardassero. e non con occhio umano, ma in una maniera che per definirla esattamente non è sufficiente un linguaggio descrittivo dello scibile. perché lì davanti subito si avvertiva la fragilità della propria persona, si veniva catapultati nei vicoli più bui del proprio io, dove si aveva paura di scoprire quale demone vi fosse nascosto in fondo. no, non si era a disagio ma ci si sentiva come trapassati da quello sguardo acuto, ammaliante, forse un po' ammiccante, eppure sornione, inafferrabile e invalicabile. erano solo 2 pennacchi certo, ma per fortuna i pennacchi possono per loro natura solo osservare e non parlare perché molti avrebbero potuto avere paura di quello che avevano da dire...

il monastero si sviluppava ai lati dell'ingresso che era rivolto verso il villaggio, ma un po' di sbieco, quasi fosse partecipe al susseguirsi dei fatti e dei piccoli sogni delle esistenze che inscenavano le commedie e i drammi quotidiani, ma contemporaneamente non badandoglici del tutto, come se quegli eventi dovessero andare per la strada loro senza troppe apprensioni.

che forma avesse nessuno lo sapeva bene. al villaggio, quando all'osteria erano già girati un po' di fiaschi di rosso e i frequentatori erano ben più che alticci, qualcuno provava a disegnare al viandante di turno la traccia delle mura. ma subito si levavano discussioni sull'esatto percorso della cinta, se quella rientranza fosse prima o dopo quell'angolo o sull'esatta posizione di quel tratto rispetto al torrente...

tutto ciò che riguardava il monastero era nebuloso, sfuggente.

non l'ambiguità lurida dell'umano che non si sa se menta o dica il vero, ma il mistero del divino, la cui la verità non è messa in dubbio ma che difficilmente può trapelare.

imperscrutabile criptata impenetrabile

semplicemente osservando il monastero si veniva subito rapiti delle lunghe mura, lisce, di una pietra grigia calcarea che da sola pretendeva di essere testimone del tempo, con i blocchi meticolosamente assemblati, posti lentamente, quasi ritualmente l'uno sull'altro, per dar vita a sfuggenti geometrie, a piccoli anfratti o nicchie che nel loro susseguirsi si perdevano su per la collina. ogni spazio, ogni cortile interno, ogni finestra era il frutto di secoli di vite, ogni cosa trovava radici nelle profondità del tempo e da quelle epoche remote sembrava essere arrivata ancora più vivificata. come quelle zone irraggiungibili del mondo rimaste incontaminate dall'uomo, in cui la potenza primitiva della natura si esprime in reti autopoietiche solo
apparentemente caotiche, per rivelare poi segrete organizzazioni in geometrie frattali non lineari, in cui ogni struttura biologica viene conservata proprio tramite il rinnovamento e l'iterazione con le altre strutture: una bellezza sensuale che affonda le proprie radici nell'evoluzione dal passato per esplicarne una nuova forma nel presente.

ma non fraintendiamo. tutti in realtà conoscevano il monastero. spesso qualcuno vi entrava e le attività che si svolgevano erano note a tutti. lo studio dei testi, i mantra, le pratiche, i momenti di convivialità fra i monaci e i laici. ecco, la vita stessa del monastero era conosciuta. solo nessuno poteva affermare con certezza che non vi fosse nient'altro. nessuno sapeva se ciò di cui era a conoscenza fosse tutto quello che c'era da sapere o invece un'infinitesima parte. l'inafferrabilità della struttura dell'edificio era l'esatta rappresentazione dell'inafferrabilità del sapere stesso che era custodito fra quelle mura.

si favoleggiava di antiche pratiche tantriche, di potenti forme di contemplazione capaci di arrivare in fondo al percorso di consapevolezza della coscienza , di iniziati che avessero raggiunto il samadhi, di monaci che fossero in meditazione da decenni...

ma in fondo potrebbero essere solo voci, forse dietro quelle mura non vi erano profondi significati mistici ma solo una quotidianità meccanica, un raccoglimento frutto dell'isolamento dal mondo e non della sua più profonda comprensione.

ancora oggi ci si chiede se il silenzio sui reconditi misteri del monastero siano dei silenzi volti a nascondere quello che c'è dentro o se semplicemente non ci sia mai stato nulla da dire

mercoledì 17 marzo 2010

prometeo


in questi giorni sono stato impegnato con l'attività sul carcere ed è venuto fuori un po' di colore. durante una visita ho approfondito la conoscenza di X, tipo all'apparenza tranquillo, un bonaccione, con la faccia grossa e pelata. era di turno in cucina e mentre affettava il sedano abbiamo fatto due parole. X non si è mai drogato, non beve e non fuma. di buona famiglia, con una solida situazione finanziaria. unico vizio: aveva un debole per le rapine in banca. entrava, presumo armato non di taglierino, e, come dice lui "prendevo tutto quello che c'era al di là del bancone, non ho mai rubato niente che si trovasse da questa parte...".
La sua filosofia era quella del vecchio stampo: niente violenza, niente furti ai privati. "le banche hanno un potere enorme, fanno quello che vogliono e sono impunite - mi dice - non ho mai avuto rimorso a rubare i loro soldi". in effetti, al di là dei metodi scelti, tutti i torti non li ha...

"una volta - continua - stavo facendo un colpo, passo di cassa in cassa a prendere i soldi e mi trovo davanti una vecchietta terrorizzata con in mano i 500 euro che stava depositando. lei me li porse, ma le dissi che quei soldi erano suoi e che non li avrei presi. glieli ho fatti depositare allo sportello. appena messi nel cassetto quei soldi erano diventati della banca e me li sono fatti dare dal cassiere. poi gli ho detto di digitare l'importo del deposito sul terminale, di non fare il furbo. ma gli ho fatto digitare 5000 euro. non dimenticherò mai il sorriso della vecchietta quando mi sono girato per andarmene...".

poi c'è stato il giro con Y. Y, al contrario di X, di violenza ne ha fatta. e la sua pena decisamente lunga è li a testimoniarlo. da alcuni anni ha maturato un percorso spirituale, forse non ortodosso nella sua manifestazione ma sincero. almeno così mi sembra e non credo di sbagliarmi di tanto.
Y non usciva di galera da 12 anni. due settimane fa ha avuto un giorno agli arresti domiciliari presso una famiglia di evangelisti che lo aiuta da qualche tempo. poi gli hanno concesso 2 giorni di permesso. finalmente ha rivisto il mondo. è andato in giro in centro, ha visto la moltitudine della folla, ha camminato, ha usato un cellulare.

Sono passato a trovarlo e siamo andati a fare un giro. e dopo 12 anni mi ha chiesto di portarlo... a signorine.

e ce l'ho portato.

perchè la famiglia di evangelisti certo non poteva accompagnarlo. credo che abbiano anche immaginato e compreso.

di domenica pomeriggio comunque non è così facile: non ho numeri di seducenti massaggiatrici casalinghe. l'unica è stata fare un giro della Pellerina, parco famoso per l'offerta di servizi di vario genere, ma di domenica pomeriggio ci sono le famiglie, i ragazzi che giocano a calcio... 'nsomma, siamo finiti davanti al carcere... sì, proprio lì.
abbiamo reclutato una "volontaria", non giovanissima, cruda e disillusa come solo una puttana può essere. gentile però.

l'abbiamo recuperata e li ho portati in un parcheggio, poi sono sceso e ho fatto una passeggiata.

P.S. l'immagine si riferisce al film "tutta colpa di giuda", consigliatissimo

mercoledì 3 marzo 2010

vuoto


a volte mi manca. sì, mi manca l'adrenalina e la rabbia che inondavano le gradinate, mi manca l'irrazionalità isterica di quei momenti. i nervi tesi, le mascelle digrignate, il cervello tirato, in piedi o aggrappato a una ringhiera, senza quasi guardare la partita, mentre senti che dalle viscere ti pervade una sensazione ben conosciuta ma difficile da spiegare, che arriva ad un apice che solo a volte trova libero sfogo. e così è anche per chi hai attorno. persone con cui condividi decine di migliaia di chilometri, con cui porti uno striscione ben identificato, con cui ti trovi nelle situazioni più assurde oltre al paradosso, con cui attraversi avventure oltre ogni limite d'immaginazione del benpensante di turno, in un rovesciamento di regole, di rapporti di forza, di valori: un senso di libertà diverso da tutti gli altri, di cui non m'importava tanto se fosse giusto o sbagliato ma che vivevo fino in fondo. mi manca il boato, l'onda di migliaia di persone che esplodono ora in estasi ora in ira. mi manca l'odore delle torce e dei fumogeni, il rimbombo delle bombe carta che rompono il silenzio e striminziscono lo stomaco: c'erano bandiere enormi che sventolavano nel gelo o nel cielo limpido, c'erano tamburi rattoppati e voci che accendevano megafoni cacofonici.

mi manca il senso di attesa e di continua tensione e di attenzione al probabile precipitare degli eventi e le arroganze degli sbirri e le intemperanze degli sbandati e le minacce della digos e le botte e i vetri in frantumi e il bruciare acre dei lacrimogeni nei polmoni e le sciarpe e le aste e le cinghie e gli striscioni che facevi la sera in settimana fumando una canna e bevendo una birra e che poi facevi entrare scappando di corsa dalla polizia che ti inseguiva sù lungo il prato...

mi manca quel sentirsi diversi, contro, disprezzati. alla faccia dei ragazzi di buona famiglia, dei tipi e tipe in tiro seduti nei tavoli dei locali alla moda con ingresso in lista, alla faccia dei politici corrotti, dei commentatori televisivi indignati e ipocriti, alla faccia dei Galliani di turno, del sistema mediatico, delle piccole sicurezze pidocchiose delle persone comuni. alla faccia delle loro paure.

o forse no, non è vero. non mi manca tutto questo. ma quel mondo riempiva un vuoto, un vuoto smisurato che mi dilaniava lo stomaco quando ogni mattina mi alzavo dal letto. e quei momenti mi facevano sentire vivo, mi riempivano di qualcosa, o almeno così mi sembrava.

in effetti quel mondo ora non mi manca, la sua nostalgia emerge un poco, di tanto in tanto, quando qualche piccola bolla di quel vuoto rimasta nell'intestino mi sale lungo la gola, come un rutto. che poi, con un piccolo rumorino, per fortuna si disperde...